拍品 8
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SALVATORE SCARPITTA | Untitled

估價
600,000 - 800,000 EUR
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招標截止

描述

  • Salvatore Scarpitta
  • Untitled
  • firmato e datato 58 sul retro
  • fasce di tela, olio e resina su telaio di legno
  • cm 64x53x4,5

來源

Galleria dell'Ariete, Milano
Collezione privata, Roma
Ivi acquistato dall'attuale proprietario

Condition

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拍品資料及來源

Nato e morto a New York, Salvatore Scarpitta non incarna affatto l’emblema dell’artista americano. Lo afferma egli stesso dicendo: “La libertà me l’ha data l’Italia. Se non avessi avuto l’esperienza italiana non avrei potuto vedere l’America con occhi nuovi”.

Dopo l’infanzia e l’adolescenza trascorse negli Stati Uniti, a 17 anni decide di trasferirsi a Roma per studiare presso l’Accademia di Belle Arti, ma la parentesi romana si interrompe dal 1940 al 1946, quando viene chiamato a militare in occasione della Seconda Guerra Mondiale. Nel corso degli anni il suo stile evolve, e Scarpitta abbandona l’adesione al figurativismo per approdare ad un’arte più astratta.
Il punto di svolta per la sua carriera artistica arriva nel 1958 quando, tornato a Roma, espone presso la galleria Tartaruga un nuovo gruppo di lavori, realizzati a partire dalla seconda metà dell’anno precedente: le tele monocrome composte da fasce intrecciate.
La tela muta il suo destino di semplice supporto in materiale di lavoro, opera d’arte, materia significante.

Un elemento così semplice e povero viene elevato ad opera da esposizione. Pare che a dargli l’ispirazione iniziale sia stata proprio l’osservazione casuale di un bambino in fasce, ma l’impatto nell’utilizzo delle bende nei propri lavori sarà estremamente sconvolgente.

La tela sta a significare lacerazione, ma allo stesso tempo ricomposizione, la placida nascita e le ferite di guerra. In Senza Titolo è palpabile quindi tutta la passione e la drammaticità della vita, condensata tra le pieghe delle bende indistricabili, fitte e ricche d’energia. Nelle opere degli anni precedenti, in particolare nel biennio ’55-’56, Scarpitta si lancia alla conquista di contenuti a cui vuole dare una chiara funzione morale, dopo la fine dell’autarchica pittura fascista. Le sue tele sono quindi caratterizzate da campiture di colore più brutali, come rosso sangue o grigio asfalto, che ricordano le ruggenti metropoli mantenendo allo stesso tempo un’andatura sinfonica e cosciente. Al contrario, come si può osservare nel capolavoro Senza Titolo del 1958, le bende monocrome restituiscono una tensione assolutamente differente, più lirica e misurata rispetto alle precedenti rappresentazioni, seppur smascherando agli occhi dell’osservatore la fragilità dell’esistenza umana. Il non-colore dell’opera diventa quindi il suo reale colore, la sua forza nella violenta semplicità. Nel periodo romano Scarpitta conosce e stringe amicizia con i massimi esponenti dell’arte italiana come Burri, Fontana, Dorazio e Consagra, che influenzò e da cui fu a sua volta influenzato irreversibilmente. Piero Dorazio scrive: “quando Fontana venne a Roma, lo accompagnai nello studio di Salvatore […] L’anno dopo andai da Fontana e il suo studio era pieno di tele con i celebri tagli, i quali non potevano non essere stati suggeriti dalle fasce di Scarpitta”. (da Per Salvatore Scarpitta di Piero Dorazio, in Scarpitta, a cura Luigi Sansone, Edizione Gabriele Mazzotta 1999, Milano, pag 32)

L’artista stesso tuttavia in un’intervista del 1991, alla domanda su che collegamento avessero le sue tele intrecciate con le opere di Burri, pone l’accento sulle differenze sostanziali del loro modus operandi: “Burri ha un impianto post-cubista e io no” (Salvatore Scarpitta, New York 1919-2007, intervista in Flash Art, n. 161, 1991). Scarpitta era stato erroneamente definito espressionista, mentre al contrario aveva cercato di contenere il fenomeno e di distaccarsi dai “bugiardi della figurazione”: gli espressionisti astratti. Decide al contrario di farsi influenzare da Burri e dalla sua estrema dignità ed etica portate tra le fila degli artisti italiani, innalzando semplici materiali d’uso, destinati ad essere gettati dopo aver assolto il loro umile scopo, a vere rappresentazioni della vita umana più autentica.




Despite New York being the city where he was born and even died, Salvatore Scarpitta does not embody the stereotypical American artist. As he once stated: “Italy gave me freedom. If I hadn’t had the Italian experience, I wouldn’t have been able to see America with new eyes”.

After spending his childhood and youth in the United States, Scarpitta moved to Rome at the age of 17 to study at the Accademia di Belle Arti.  But his education was halted between 1940 and 1946 when he was conscripted to military service during World War II. Over the years his style evolved and Scarpitta abandoned figuration in favour of a more abstract art.

The turning point in Scarpitta’s artistic career came about in 1958 when, upon returning to Rome, he exhibited a new group of works at Galleria La Tartaruga which had been executed during the second half of the previous year. They were monochrome canvases composed of interwoven bandages.
The canvas metamorphoses from mere support to real working material, artwork, meaningful matter. Thanks to Scarpitta, this simple and humble element is elevated to a work of art. Bandages can evoke a baby in swaddling clothes, but the impact of his use of bandages in his works can also be extremely shocking. The canvas must be lacerated, but at the same time reconstructed, the purity of childhood is conflated with war wounds.

All the passion and drama of life are palpable in Untitled, condensed within the folds of the inextricable bandages. In the previous works, especially those from 1955 and 1956, Scarpitta searched for new contents onto which to confer a clear moral function, following the decline of the autarkic fascist art. His canvases are thus characterised by more brutal fields of colour, such as blood-red and asphalt-grey, which remind the viewer of roaring metropolises, maintaining nonetheless a symphonic and conscious gait. In contrast, as one can see in Senza Titolo of 1958, the monochrome bandages create a completely different tension, more lyrical and composed with respect to the previous works, albeit uncovering the fragility of human existence. The non-colour of the work becomes its true colour, its strength in its utter simplicity.

During his time in Rome, Scarpitta met and became friends with the greatest exponents of Italian art such as Burri, Fontana, Dorazio and Consagra, influencing them and in turn becoming irreversibly influenced. Piero Dorazio wrote: “when Fontana came to Rome, I went with him to Salvatore’s studio […]. One year later I came to Fontana’s studio and it was full of canvases with those famous cuts in them, which would not have been the case if he were not inspired by Scarpitta’s bandages”.

However, when asked about the connection between his interwoven canvases and Burri’s works in an interview of 1991, the artist replied by highlighting the substantial differences in their modus operandi: “Burri has a post-cubist approach and I do not” (Salvatore Scarpitta, New York 1919-2007, interview in Flash Art, n. 161, 1991). Scarpitta was mistakenly considered an Expressionist, while he had always tried to contain the phenomenon and to detach himself from the "liars of figuration", the Abstract Expressionists. On the contrary, he was influenced by Burri and by his extreme dignity and ethic which he spread to Italian artists, elevating simple materials destined to be thrown away after fulfilling their humble purpose, to true representations of the most authentic human life.



Opera registrata presso l'Archivio Salvatore Scarpitta, Milano, con il n. 209 bis
L'opera è accompagnata da certificato su fotografia rilasciato da Luigi Sansone, Milano