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Lavinia Fontana
Description
- Lavinia Fontana
- Ritratto di gentiluomo in arme
- firmato e datato sul peduccio del tavolo in basso a destra: LAVINIA FONTANA DE ZAPPIS FACIE. MDLXXXI
- olio su tela
Condition
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Catalogue Note
Lavinia Fontana, "pittora singolare tra le donne", raffinata artista della Bologna della seconda metà del Cinquecento, è l'autrice della nostra opera, un grande ritratto maschile. Finora inedito, è firmato e datato per esteso sul peduccio del tavolo, a fianco alla maestosa figura del gentiluomo in arme che, fiero e beffardo, ci guarda nella penombra di un grande palazzo nobiliare.
L'artista "che andava al pari delli primi huomini di quella professione" (Avvisi Urbinati, Lat. 1077, c.428 A-B in M.T. Cantaro, Lavinia Fontana Bolognese "pittora singolare" 1552-1614, Milano-Roma 1989, p. 1), fu squisita interprete di quella cultura tardomanierista che ancora imperava allo scadere del sedicesimo secolo. Figlia d'arte di Prospero Fontana si formò nella bottega paterna, ereditandone soluzioni compositive e stilemi. Dotata di una spiccata predisposizione eclettica, seppe ben presto sviluppare una propria cifra stilistica in armonia con quanto si andava sviluppando nel vivace ambiente artistico emiliano-bolognese. Nella pittura di Lavinia si incontrano così le erudizioni del tardo manierismo, i dettami dell'ambiente controriformista -ben espressi nelle opere di carattere religioso- le suggestioni del mondo fiammingo, fino ad arrivare al naturalismo dei giovani Carracci che, con la loro rinomata Accademia, andavano apportando importanti novità figurative nella città di Gregorio XIII Boncompagni.
La sua produzione si protrasse per quasi mezzo secolo, tra il 1570 e il 1614, anno della sua morte, contando innumerevoli commissioni dai maggiori esponenti dell'aristocrazia dell'epoca, eseguendo opere per pontefici, ecclesiastici ed eruditi: di tutti fu solerte ritrattista, ricercata ed ammirata dai più. Il nutrito corpus di dipinti vide l'artista impegnata con molte opere di carattere religioso, di medio formato o grandi pale d'altare, alcuni rari soggetti mitologici e una lunga e costante attività di ritrattista. A questa vasta produzione si lega la nostra opera, brano esemplare di un'artista che fu abile indagatrice della natura umana, in una narrazione sempre attenta e ben congeniata, atta a restituire la verità di ogni personaggio.
La monumentale figura, qui ritratta, è isolata nella penombra di uno spazio senza tempo, reso reale dall'elegante pavimento marmoreo e dalla finestra illuminata, posta in profondità. Il sapiente gioco prospettico che anima lo sfondo richiama apertamente alcuni modelli paterni, quali il Ritratto di gentildonna (Bologna, Museo Davia Bargellini) o il Ritratto di astronomo (Roma, Galleria Spada), dove si ritrovano gli stessi scorci, la stessa apertura appena suggerita verso altri spazi, altri luoghi del palatium, chiara allusione al potere nobiliare del personaggio effigiato. L'artista recupera e rielabora così, attraverso gli esempi di Prospero Fontana, la cultura fiamminga, i modelli di derivazione già sperimentati dal padre-pittore-maestro. Lavinia, ancora giovane, ne eredita tutta la complessità stilistica, l'attenzione lenticolare alle stoffe preziose, ai ricami della gorgiera, la descrizione analitica degli oggetti-simbolo del personaggio. Nasce così quell'elmo piumato e rilucente posato sul tavolo come natura morta parlante, densa di significati, capace di narrare e arricchire la storia di questo ritratto-racconto in cui nulla è lasciato al caso.
Opera tipica del corpus già noto dell'artista, la grande tela trova strette analogie compositive con i numerosi ritratti eseguiti negli anni ottanta. Simili aperture prospettiche si ritrovano nel Ritratto del cosiddetto senatore Orsini (Bordeaux, Musée des Beaux-Arts) e nel solenne Ritratto della famiglia Gozzadini (Bologna, Pinacoteca Nazionale) o ancora nel Ritratto del frate Francesco Panigarola (Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti). L'autografia, confermata dalla firma a caratteri capitali, abilmente nascosta e del tutto usuale nei suoi dipinti, trova così nuove conferme nel confronto diretto con le opere di Lavinia. Vi si riscontrano gli stessi elementi costituitivi della sua poetica, lo stesso naturalismo sincero, il medesimo descrittivismo, quasi scientifico, di matrice nordica.
Inusuale, invece, appare il formato, con il gentiluomo ritratto a figura intera e in piedi anziché seduto e a mezzo busto, come nelle opere più note di Lavinia, basti pensare al coevo Ritratto di studioso (Bologna, Pinacoteca Nazionale), dipinto di dimensioni molto minori e dai toni assai più sobri, firmato con una soluzione del tutto analoga alla nostra: LAVINIA FONTANA DE ZAPPIS FACIE MDLXXXI. Tipico dell'artista, del resto, l'abitudine ad apporre una firma in quasi tutte le sue opere, dapprima accompagnata dall'appellativo VIRGO PROSPERI FONTANAE e, dopo il 1577, sempre seguita dal cognome del marito, l'imolese Giovan Paolo Zappi, pittore anche lui e suo assiduo collaboratore. Si ricorderà, infatti, che Lavinia acconsentì alle nozze, già venticinquenne, solo a patto che potesse continuare a dipingere, così da poter divenire quella che fu: Lavinia Fontana "pittora singolare tra le donne".