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Giacomo Ceruti
Description
- Giacomo Ceruti
- Portarolo col cane
- firmato in basso a sinistra: GIA:MO AN.O/ CERUTTI
- olio su tela
Provenance
probabilmente Brescia, collezione Fenaroli, ante 1882;
Brescia, castello di Padernello, conti Salvadego dal 1882 e di lì per eredità agli attuali proprietari.
Exhibited
Milano, Palazzo Reale, I Pittori della realtà in Lombardia, aprile - luglio 1953, n. 158.
Literature
G. Delogu, Pittori minori liguri, lombardi, piemontesi del Seicento e del Settecento, Venezia 1931, nota p. 209;
La pittura a Brescia nel Seicento e Settecento, catalogo della mostra, a cura di E. Calabi, Brescia, 1935, n. 100, p. XXXII e p. 28;
U. Galetti - E. Camesasca, Enciclopedia della Pittura Italiana, Milano 1950, tomo I, p. 638;
I Pittori della realtà in Lombardia, catalogo della mostra, a cura di R. Longhi, Milano, Palazzo Reale, aprile - luglio 1953, n. 158, p. 74;
G. Testori, "Il Ghislandi, il Ceruti e i veneti", in Paragone, 1954, 57, p. 33 nota 3;
A. Morassi, "Giacomo Ceruti detto il 'Pitocchetto' pittore verista", in Pantheon, 1967, XXV, p. 365 nota 17;
G. Fiocco, "Giacomo Antonio Ceruti a Padova", in Saggi e Memorie di Storia dell'Arte, 1968, VI, p. 114 nota 3;
O. Marini, "Qualcosa per la vicenda del 'Pitocchetto'. I committenti bresciani del Ceruti: il Ceruti nella Galleria Avogadro", in Paragone, 1968, 215, pp. 47, 55, tavola 56;
M.L. Gengaro, "A proposito del Ceruti", in Arte Lombarda, 1977, 47-48, p. 135;
Mina Gregori, Giacomo Ceruti, Bergamo 1982, n. 52, illustrato p. 185.
Condition
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Catalogue Note
"Presso il Ceruti tutto si risolse, anzi, tutto fu nient'altro che "ritratto"; e, a causa dell'ampiezza e totale umanità di sguardo e riflessione, "ritratto" del mondo intero. Anche la così detta "scena di genere" diventò in lui incontro e dialogo di persone individualmente precisate; non il "pitocco", come tipo; ma quel povero diavolo, quel misero, quello "strapennato"; proprio lui, non altri, non altrimenti; con la sua faccia, la sua pelle, il suo sporco, il suo odore, la sua famiglia; col mondo, vastissimo in profondo, delle sue grame gioie e dei suoi frequentissimi dolori.
Poco, infatti, si potrà afferrare della grandezza e modernità di Ceruti, se non si sarà prima capito questa sua capacità di togliere dal genere e dal generico quella parte di umanità che, per secoli, era rimasta alle porte o alla periferia dell'espressione vera e propria; e di legar così nel contesto solenne della storia uomini precisi, che proprio da questa precisazione riceveranno l'incondita forza di presenze ormai definite".
Così si esprimeva Giovanni Testori nel lontano 1967 sull'arte intensamente analitica, veristica di Giacomo Ceruti e le sue parole basteranno ad illustrare la portata rivoluzionaria della sua pittura.
L'eccezionale unicità del Portarolo qui presentato si sostanzia, inoltre, nel recare in basso a sinistra la firma GIA:MO AN.O/ CERUTTI, che non solo riporta il doppio nome Giacomo Antonio (facendo così cadere l'ipotesi, formulata da Boselli nel 1954, che Giacomo e Giacomo Antonio Ceruti potessero essere due personalità distinte); ma presenta una grafia del cognome con l'uso della doppia T, documentando la dicitura Cerutti come originale e autografa. Il nostro è, dunque, il solo quadro della fondamentale "serie di Padernello" a essere firmato - e a essere firmato Giacomo Antonio come in un momento ancora precoce della sua carriera - il che consente di formulare l'ipotesi che esso fosse fra i primi ad esser realizzato e che a questo primo saggio di scabra grandezza seguissero poi gli altri celebrati dipinti di quell'insieme.
Basterà ricordare che della "serie di Padernello" dei conti Salvadego facevano parte i maggiori capolavori del periodo bresciano, in cui Giacomo - giunto a Brescia intorno al 1720 dalla natìa Milano - ebbe modo di esprimere appieno il pauperismo intenso, insieme semplice e monumentale, della sua arte. Nelle almeno tredici tele di cui era composta, Ceruti mette in scena diverse piccole mansioni, austeri frammenti di vita del mondo degli umili, giovani e vecchi, uomini e donne, mendicanti, lavoratori, bambini, descrivendo così un universo minuto, ma numericamente ampissimo, incarnato da singoli individui la cui rappresentazione restituiva esistenza a moltitudini fino a quel momento dimenticate. La serie, che Mina Gregori ha ipotizzato provenire per intero dal palazzo della famiglia Avogadro "appresso San Bartolomeo" per la quale venne dipinta, passò in eredità ai Fenaroli e venne poi acquistata dai conti Salvadego nel 1882 (come documentato per alcuni dei dipinti citati). Essa annoverava, oltre al nostro Portarolo, i Due Portaroli che giocano a carte, i Calzolai, la Spillatura del vino, il Pitocco in riposo, la Donna che intreccia vimini, la Piccola mendicante e una donna che fila, I Vecchi mendicanti, I due poveri nel bosco, le Donne che lavorano al tombolo, il Nano, le Donne che lavorano e infine la Filatrice (cfr. rispettivamente Gregori, Mostra Brescia 1987, nn. 26; 22; 19; 20; 21; 24, dove si discutono anche I Vecchi mendicanti; 23; 18; 16; 17; 27), dipinti in cui per la prima volta veniva illustrato, anche in tele di grandi dimensioni, il lavoro nella sua dignità, la portata etica, oltrechè pratica, di una vita fatta di gesti semplici, essenziali, ma non per questo meno fondanti.
Nel rappresentare tale universo fatto di poco, se non di niente, Ceruti usa i mezzi che a ciò meglio si addicono: una pittura scabra, essenziale, senza indugi, tutta giocata sull'alternanza quasi monocroma di diverse sfumature di beige, di grigio, di marrone, di bianco, tagliando via ogni superfluo, lasciando sullo sfondo la piazza povera, dove scorre una quotidianità laboriosa di figure costruite di pochissime pennellate rosa, giallastre, marroni, color di sabbia e fango. Su questo sfondo trattenuto, anonimo, silenzioso, quasi en brunaille, si staglia il giovane protagonista analizzato, invece, nella sua immediata verità con occhio ravvicinato, e di fronte a lui quel cane paziente, che attende speranzoso che gli si getti un qualche misero avanzo.
Come le altre tele del gruppo Avogadro-Salvadego ad esso stilisticamente più prossime, quali in particolare il Nano e la Spillatura del Vino, il nostro Portarolo andrà datato entro la fine degli anni Venti del Settecento, come testimoniato anche dall'assonanza con i due Portaroli Oldofredi, anch'essi risalenti al primo periodo bresciano (cfr. M. Gregori, catalogo mostra Brescia 1987, illustrati a pagg. 36-37 e cat. 29; Gregori 1982, nn. 70-73).
Il dipinto è stato dichiarato di interesse artistico e storico con decreto ministeriale in data 25 marzo 1955.