“I create my paintings with great care, and this is the part of my job that gives me the most pleasure. It seems to me a significant indication. I would like my paintings to reach a formal perfection that would satisfy both the senses and the spirit, enough to live with it peacefully."
The protagonists of Ragazze con cerchietti are women. Fresh from his participation at the Venice Biennale few years earlier, Massimo Campigli investigates once again the representation of women, the subject that he cares most. This work of 1952 fits perfectly within the artist's historical and professional career, reaching a now mature and consolidated phase of his oeuvre. Campigli often spoke about “formal perfection”. In an almost obsessive vision, his persistence in the investigation of the perfect representation becomes the goal of his entire existence. In Ragazze con cerchietti, as in most of his works, we perceive a strong insistence on what he liked to call "hieroglyphs". The human figure turns into a sign, giving birth to a rhythmicity where women are simulacra and mark time. Campigli always seeks the perfect form, employing symbols and archetypes to define his pictorial work. The triangle becomes a sort of pattern, just like in the two girls represented, whose marked features echo the hardness of the geometric shape, enriched by the insertion of perfect circles, other elements dear to the painter. The tonal base is earthy, with hints of green and cobalt. The white is pure, calcareous, allowing the light to sublimate the subjects. Starting from 1945, Campigli begins to close the female figures in ancient, hieratic poses, transforming them into simulacra of domestic life. Campigli’s woman is sublimated and placed in a suspended space.

Not just pure geometry, though. Campigli’s symbol does not represent a mere mathematical form for its own sake, but it refers to something else. The primitive hieroglyph reminds us the painter’s childhood, which was marked by a strong presence of women. Growing up surrounded by the women of his family, Campigli wants us to recall the fundamental moments of his existential journey. "Primitive” is also his stylistic sign, which seems to refer to that Etruscan art he loved. He was a cultured visitor of ancient civilisations and his visit to the Etruscan Museum of Villa Giulia in Rome in 1928 is a starting point. The "discovery" of the Etruscans for Campigli is equivalent to the search for himself and it is precisely here that his predisposition for his notorious donnine (i.e. “little women”) was born. In Ragazze con cerchietti of 1952, Campigli skillfully masters the schematised form as a decantation of reality, a motif repeated indefinitely until it becomes a formula, the result of which can only be correct by nature. Campigli's compositional rigor and obsessive recurrence of the female figure not only give shape to his canvases, but also extend to the sphere of his life, becoming a holistic and all-encompassing experience. Campigli’s women represent the perfect subject, the idol, to be searched and painted endlessly, giving voice to a desire for perfection, the first and ultimate condition of the vitality of the painting. The archetype of the stylised woman evolves into the memory of an intimate and familiar reality, opening an all-psychological dimension. Campigli not only paints the woman, but identifies himself with the woman, opening a path in which painting becomes part of himself in an existentialist way.
“Compongo il quadro con grande cura ed è questa la parte del lavoro che mi dà maggior diletto. Mi pare un’indicazione significativa. Vorrei che il quadro arrivasse a una perfezione formale che appagasse i sensi e spirito tanto da poterci vivere assieme pacificamente.”
Le protagoniste di Ragazze con cerchietti sono, appunto, donne. Fresco dalla partecipazione alla Biennale di Venezia di pochi anni prima, Massimo Campigli indaga ancora una volta il soggetto che più gli sta a cuore: quello della rappresentazione della donna. L’opera, realizzata nel 1952, si inserisce perfettamente nel percorso storico-professionale dell’artista, giungendo in una fase ormai matura e consolidata della sua carriera. Di “perfezione formale”, Campigli ne parlava spesso. In una visione quasi maniacale, la sua persistenza nella ricerca e investigazione della rappresentazione perfetta diventa il fine ultimo della sua intera esistenza. In Ragazze con cerchietti, come nella maggior parte delle opere dell’artista, notiamo una forte insistenza su ciò che egli amava denominare “geroglifico”. La figura umana diventa segno, dando origine a una ritmicità dove le donne diventano simulacro e scandiscono il tempo. Massimo Campigli cerca sempre la forma perfetta, utilizzando simboli e archetipi per definire la sua opera pittorica. La forma triangolare diventa la cifra delle sue figure, proprio come nelle due ragazze rappresentate, i cui lineamenti marcati riecheggiano la durezza della forma geometrica, arricchita dall’inserimento dei cerchi perfetti, altri elementi cari al pittore. La base tonale è terrosa, con parvenze di verde e cobalto. Il bianco è puro, calcareo, permettendo alla luce di sublimare i soggetti. Soprattutto a partire dal 1945, Campigli inizia a chiudere le figure femminili in pose antiche, ieratiche, trasformandole in simulacri della vita domestica. La donna di Campigli è così sublimata e collocata in uno spazio sospeso.

Non solo pura geometria, però. Il simbolo di Massimo Campigli, infatti, non rappresenta una mera forma matematica fine a se stessa, ma vuole rimandare ad altro, un simbolo appunto. Il geroglifico, primitivo per definizione, sembra trasportarci al tempo della sua infanzia, segnata da una forte presenza delle donne. Cresciuto circondato dalle donne della sua famiglia, Massimo Campigli sembra volerci far rivivere i momenti fondamentali del suo percorso esistenziale. “Primitivo”, poi, è anche il segno stilistico di Campigli, il quale sembra rimandare a quell’arte etrusca a lui tanto cara. L’artista era infatti un colto visitatore di antiche civiltà e di questo ne è testimone e punto di partenza la sua visita al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928. La “scoperta” degli Etruschi equivale, per Campigli, alla scoperta di se stesso ed è proprio qui che nasce la sua predisposizione per la rappresentazione delle sue, ormai famose, “donnine”. In Ragazze con cerchietti del 1952, Massimo Campigli padroneggia con destrezza la forma schematizzata come decantazione della realtà, motivo reiterato quasi all’infinito fino a diventare una formula, il cui risultato non può che essere, per definizione, corretto. Il rigore compositivo di Campigli e la ricorrenza ossessiva della figura femminile non solo danno forma alle sue tele, ma si estendono anche alla sfera della sua vita, diventando esperienza olistica e totalizzante. Le donne di Campigli, dunque, sono il soggetto perfetto, l’idolo, da ricercare e dipingere all’infinito, dando voce a una smania di perfezione, condizione prima e ultima della vitalità del quadro. L’archetipo della donna stilizzata diventa il ricordo di una realtà intima e familiare, aprendo una dimensione dal livello tutto psicologico. Massimo Campigli non solo dipinge la donna, ma si identifica nella donna, dando vita a un percorso in cui la pittura entra a far parte di sé in modo assolutistico ed esistenzialistico.