The interior paintings of Mario Caviglieri distinguish themselves for their chromatic richness and compositions which expand through the canvas without a solution of continuity.
Around 1920 Caviglieri is fully in control of an “extremely personal technique rich of brilliant effects and original intonations… he composes very pleasing decorative works. His manner helps him when he wants to render the marble mosaics, the painted ceramics, the oriental embroidered fabrics… (R. Calzini, ne L’Illustrazione Italiana, 1 febbraio 1920)”
This painting was exhibited at the Galleria Pesaro in Milan in 1920 where Calzini himself sang the praise, an exhibition which was also praised by Vittorio Pica, newly nominated secretary general of the Venice Biennale, who wrote “rare and exquisite decorative sentiment along with a merry enthusiasm for colour, which create a true and lively delight to the eyes”.
Apart from being dazzled by the virtuosity of the paintings, le still lives from these years confuse the observer through nervous brushstrokes and flattened perspectives. Brocade, carpets, consoles and precious antique objects offer themselves in the foreground in a riot of colours which shine on their own, without a predominant light source, but all equally evident. The rich domestic views, observed from this immersive visual, don’t only convey a vibrant delight to the eyes, as the critics of that time underlined, but they conceal, in their claustrophobic composition, a sense of essential artistic restlessness, made even more evident from the conscious absence of any human presence.

In this domestic jungle, overcharged with elements and without any necessity of a perspective lunge, the painter makes the objects live their own life. An alienating theatrical atmosphere encloses a sort of familiar intimacy which does not great but subtracts, thus declining all its presence to the mute dialogue between the objects. Paintings, curtains, tapestries, vases, sculptures, glasses, china and golds are described and painted quickly and with strong colours, juxtaposed without any priority.
While passing through the unsettling bourgeois living rooms of the Proustian atmosphere it feels like walking behind the scenes of a theatre, and our steps are punctuated by the delicate ticking of clocks and the creaking of the floors.
Le pitture di interno di Mario Cavaglieri si distinguono per la ricchezza cromatica e compositiva che attraversa la tela senza soluzione di continuità. Attorno al 1920 Cavaglieri è pienamente padrone di una “tecnica personalissima ricca di effetti brillanti e di intonazioni originali… compone quadri di effetto decorativo piacevolissimo. La sua maniera gli giova quando egli vuol rendere i mosaici marmorei, le ceramiche dipinte, le stoffe orientali ricamate… (R. Calzini, ne L’Illustrazione Italiana, 1 febbraio 1920)”
Questo dipinto fu esposto nella mostra alla Galleria Pesaro a Milano nel 1920 di cui Calzini proprio tesseva l’elogio, mostra che fu lodata anche da Vittorio Pica, neo nominato segretario generale della Biennale di Venezia, che ebbe a scrivere del “raro e squisito sentimento decorativo e per una gioconda foga coloristica, che procurano un vero e vivo diletto agli occhi”.
Ma oltre a venir abbagliati dalla virtuosità dei dipinti, le nature morte di questi anni disorientano l’osservatore, così rese da pennellate nervose e da prospettive appiattite. Broccati, tappeti, consolle e preziosi oggetti antichi si offrono perlopiù frontalmente in un tripudio di colori che brillano da sé, senza una fonte di luce predominante, ma tutti egualmente evidenti. Le ricche vedute domestiche, osservate da questa visuale immersiva, non trasmettono quindi solo vibrante diletto per gli occhi, come i critici del tempo sottolineavano, ma celano, nella loro claustrofobica composizione, un senso di inquietudine esistenziale ed artistica, reso ancora più evidente dalla voluta assenza di qualsiasi presenza umana.
In questa giungla domestica, sovraccarica di elementi e senza alcuna necessità di affondo prospettico, il pittore fa vivere gli oggetti di vita propria. Una straniante atmosfera teatrale racchiude una sorta di intimità familiare che tuttavia non ci accoglie ma si sottrae, declinando ogni sua presenza al muto dialogo fra gli oggetti. Quadri, tende, arazzi, vasi, statue, vetri, cineserie e dorature sono descritti a pennellate veloci e colori potenti, accostati l’uno all’altro senza alcuna priorità.
Attraversando gli inquietanti salotti alto borghesi dall’atmosfera proustiana, sembra di camminare in una quinta teatrale ed i nostri passi vengono scanditi dal lieve ticchettio delle pendole e dallo scricchiolio dei pavimenti.