“...I had been observing household objects for a while which, being more private, are the ones with which we are more in contact with, to which we unveil the more intimate gestures and instants of our existence.
In the beginning this interest was of prevailing formal character, but later on I started to establish a natural relationship which was more psychological and emotional. In those months, because of my asthma, I was suffering of insomnia and, being ‘scared of the dark’, I would not close the blinds completely so that the light from the streetlamps would filter through. In those instances, all the objects of the room took on an unusual value compared to the everyday one. I thought of rebuilding objects which were mutilated of their functions, objects… Furnishing items, as mirrors and wardrobes, and those of social relations or the refusal of it, like doors, windows and blinds… Now, in the dark, I can see the door, I can look at the wardrobe in front of me, which, missing a door, gives away a whitish stain which with the daylight will go back to being a shirt. I look again at the closed door and its seems as if in that moment, behind it, there is no more corridor nor the rest of the house. That was I to open it in that specific moment, I would see a great blue sky full of white clouds''.
Tano Festa, Lettera ad Arturo Schwarz, 1966, in “Tano Festa”, Milan 1988, p. 19
“…Da tempo guardavo gli oggetti di mobilio domestico che, essendo i più privati, sono quelli con i quali siamo più a contatto, ai quali sveliamo gli atti e i gesti più intimi e segreti della nostra esistenza.
All’inizio questo interesse era di carattere prevalentemente formale, ma più tardi cominciai a stabilire un rapporto di natura psicologica ed emozionale. In quei mesi a causa dell’asma soffrivo di insonnia e avendo “paura del buio” mi limitavo ad accostare le persiane anziché chiuderle completamente, perché filtrasse la luce delle lampade della strada. In quei momenti tutti gli oggetti della stanza assumevano un valore insolito rispetto a quello normale e quotidiano. Pensai di ricostruire degli oggetti che fossero mutilati delle loro funzioni... Oggetti d’arredamento, come gli specchi e gli armadi, e quelli della relazione sociale o del rifiuto di essa, come le porte, le finestre, le persiane…Adesso al buio posso vedere la porta, guardare l’armadio di fronte a me, che mancando di uno sportello lascia scorgere una macchia biancastra che con la luce del giorno tornerà ad essere una camicia. Guardo ancora la porta chiusa e mi sembra che in quel momento dietro non ci sia più né il corridoio né tutto il resto della casa. Che se l’aprissi in quell’attimo vedrei un grande cielo azzurro pieno di nuvole bianche”.
Tano Festa, Lettera ad Arturo Schwarz, 1966, in “Tano Festa”, Milano 1988, p. 19
