Lot 27
  • 27

Artemisia Gentileschi

Estimate
200,000 - 300,000 EUR
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Description

  • Artemisia Gentileschi
  • BETSABEA AL BAGNO
  • olio su tela

Provenance

Bari, Castello di Conversano, collezione Ramunni;
Roma, Villa La Castelluccia, asta Franco Semenzato, 28 maggio 1978;
Roma, collezione privata.

Literature

F. Hermanin, Gli ultimi avanzi d'un'antica galleria romana, in "Roma", 1944, XXII, 46-47, pl. VII;
H. Voss, Venere e Amore di Artemisia Gentileschi, in "Acropoli", 1960-1961, 1, p. 81;
R. Ward Bissell, Artemisia Gentileschi: a new documented chronology, in "The Art Bulletin", 1968, 50, p. 163;
E. Borea, a cura di, Caravaggio e caravaggeschi nelle gallerie di Firenze, catalogo della mosta (Firenze, Palazzo Pitti, estate 1970), Firenze 1970, pp. 78-79;
A.S. Harris in A.S. Harris-L. Nochlin, a cura di, Women artists: 1550-1950, catalogo della mostra (Los Angeles, County Museum of Art,  21 dicembre 1976-13 marzo 1977), Los Angeles 1976, nota 28, p. 123;
Vendite giudiziarie e per commissione di Franco Semenzato&Co., Roma, Villa La Castelluccia , 26-28 maggio 1978, n. 961, p. 90;
M. Marini, Caravaggio e il naturalismo internazionale, in "Storia dell'arte italiana", Torino 1981, vol. VI, tomo I, p. 370;
M. Gregori in Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte, 24 ottobre-14 aprile 1985; Museo Pignatelli, 6 dicembre 1984-14 aprile 1985), Napoli 1984, vol. I, p. 150;
J. Grabski, On Seicento painting in Naples: some observations on Bernardo Cavallino, Artemisia Gentileschi and others, in "Artibus et Historiae", 1985, 11, p. 52;
M. Garrard, Artemisia Gentileschi. The Image of the Female Hero in Italian Baroque Arts, Princeton 1989, pp. 129-131, fig. 121, p. 130 e nota 231, pp. 517-518;
R.Contini in R. Contini-G. Papi, a cura di, Artemisia, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 18 Giugno-4 Novembre 1991), Roma 1991, p. 179;
R. Ward Bissell, Artemisia Gentileschi and the authority of art. Critical reading and catalogue raisonné, Pennsylvania State University Press 1999, n. 46, p. 279, fig. 184.

Condition

Il dipinto appare ad occhio nudo con colori più caldi che in fotografia. La macchia scura e localizzata che si osserva in foto all'altezza dell'ascella di Betsabea è da considerarsi un refuso di stampa e non si osserva sull'originale.La tela di supporto è rifoderata. Sulla superficie pittorica non si osservano danni o cadute, ma essa appare ad occhio leggermente appiattita, come visibile anche in catalogo. L'intenso cromatismo secentesco del dipinto permane godibile, come l'estrema ricchezza decorativa dei panneggi, la lucentezza dei metalli, gli spessori dei ricami sui tessuti e sulle passamanerie, ancora perfettamente tangibili e l'originale opulenza materica non risulta depauperata dai numerosi interventi integrativi che si osservano un pò su tutta la superficie del dipinto, visibili a occhio nudo in particolare sui panneggi della canefora a sinistra, sul corpo e nella mano sollevata di Betsabea e su parte del volto e della mano dell'ancella che la pettina. L'analisi con la lampada di Wood conferma i sopracitati restauri pittorici e ne denuncia ulteriori sparsi un pò su tutta la superficie. L'effetto generale è in ogni modo di grande piacevolezza decorativa. L'opera è offerta in asta con una ricca cornice intagliata e dorata.
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Catalogue Note

Pubblicato per la prima volta da Federico Hermanin nel 1944 come opera autografa di Artemisia Gentileschi, il monumentale dipinto fu sempre ricondotto alla mano dell'artista romana anche dalla critica successiva. L'elevata qualità permette, secondo le parole di Raymond Ward Bissell (1999), uno dei maggiori studiosi dell'oeuvre di Artemisia, di assegnare alla tela un posto preciso nella lunga serie di Betsabee, realizzate a più riprese dall'artista, lungo l'iter della sua brillante carriera divisa tra Roma, Firenze e Napoli.
L'opera è da datarsi tra il 1640 e il 1645, durante il secondo e definitivo soggiorno napoletano, nella città d'adozione dell'artista negli ultimi anni di attività. Così come l'autografia, anche l'ambito cronologico di appartenenza è stato generalmente oggetto di concordia da parte della critica, se si esclude la Borea (1970) che interpretando erroneamente il pensiero del Bissell -"ma si tratta di un misunderstanding" (Contini 1991, p. 176)- si dichiara concorde con lo studioso per una datazione al periodo fiorentino della pittrice, nel secondo decennio nel Seicento, di concerto con l'opera di analogo soggetto, conservata a Firenze (Palazzo Pitti, depositi). Anche la Gregori (1984), trattando brevemente del nostro dipinto, ne dà una diversa datazione, restituendolo al 1630 circa.
Appartiene, invece, proprio all'ultimo periodo napoletano questa imponente Betsabea, come dichiara la maggiore idealizzazione delle eleganti figure qui ritratte, ben lontane dal pathos drammatico delle prime opere, delle robuste e forti Giuditte dipinte alla corte dei Medici. Del resto anche il tema scelto "allo stato attuale delle conoscenze (..) sembra pertinente e congeniale all'ambiente partenopeo" (Contini 1991, p. 178).

L'impianto compositivo si lega a quello presente nelle altre versioni, che sembrano dialogare a distanza tra loro, nel ripetersi e nell'alternarsi dei vari elementi, nello sfondo architettonico di memoria classicheggiante così come nelle figure della sensuale eroina biblica, variamente atteggiata, e delle due ancelle che attendono solerti al suo servizio. Ricorrono dettagli precisi della Betsabea di Vienna (Alexander Haas Collection), dove si ritrovano le medesime posizioni della coppia centrale con la fantesca intenta ad acconciare le lunghe trecce dell'eroina seminuda, appena coperta da un velo sottilissimo, quasi impercettibile. L'ancella che incede da sinistra ricorda, invece, alcune figure femminili dipinte da Orazio Gentileschi durante la tarda attività a Londra, dove Artemisia l'avrebbe raggiunto alla fine degli anni trenta per aiutarlo a completare il ciclo di affreschi nella Queen's House di Greenwich (oggi al Marlborough House, Londra). A seguito della breve esperienza inglese (1638-1639), in un momento di stretta vicinanza con il padre, l'artista riutilizzò, quindi, alcuni spunti compositivi desunti in Inghilterra, come il motivo della giovane donna di spalle, derivato dall'analoga figura dell'Apollo e le nove Muse di Orazio (già New York, collezione privata). Lo stesso topos iconografico si trova in diverse Betsabee, come nel bell'esemplare a Potsdam (Neues Palais) che condivide con la nostra opera anche l'idea compositiva e il particolare della vivida natura morta del panneggio in primo piano, con effetti materici di serica bellezza.

Il dipinto è stato dichiarato di eccezionale interesse storico artistico dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in data 26 Aprile 1979.