Lot 311
  • 311

Piero Manzoni

Estimate
500,000 - 700,000 EUR
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Description

  • Piero Manzoni
  • Achrome
  • caolino su tela
  • cm 60x80
  • Eseguito nel 1959 circa

Provenance

Collezione Emilio Scanavino, Milano
Ivi acquisito direttamente dall'attuale proprietario

Exhibited

Calice Ligure, Galleria il Punto, Mostra Collettiva, 1963-64 circa

Literature

G. Celant, Piero Manzoni. Catalogo Generale, Milano 2004, pag. 450, n. 376, illustrato

Condition

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Catalogue Note

"L'Achrome è il centro dell'arte di Piero Manzoni, probabilmente estensibile come intenzione costante, pensiero globale, o comunque come base interpretativa generale, a tutto il lavoro dell'artista nella sua molteplicità e diversità di esiti e di modi"
/E. Grazioli, Piero Manzoni, Torino 2007, pag. 61

L'Achrome databile al 1959 qui presentato, di per sé un perfetto esempio della celebrata iconografia propria all'artista milanese, grazie alla sua provenienza rappresenta una preziosa testimonianza del rapporto intercorso fra Manzoni e Scanavino, due artisti i quali, pur avendo intrapreso poi percorsi diversi, hanno vissuto e condiviso quell'eccezionale momento artistico che è stato il secondo dopoguerra italiano. Sintomo di una certa empatia reciproca fu questo dipinto, frutto di uno scambio nato da un segno di stima fra i due artisti.
La conoscenza fra Manzoni e Scanavino si snoda attorno a tre coordinate, tre nuclei, siano luoghi o persone, che hanno contribuito, anche per diversi altri artisti, a rendere così straordinari e culturalmente stimolanti gli anni a cavallo fra i Cinquanta e i Sessanta: innanzi tutto la città di Albisola con la sua attività artistica legata alla ceramica, poi la carismatica figura di Carlo Cardazzo, l'eclettico gallerista fondatore della Galleria del Naviglio, mecenate e collezionista, e infine il clima culturale milanese che usava trovarsi attorno al bar Jamaica in Brera.

Ad Albisola Piero Manzoni si recava fin da bambino con la famiglia durante le vacanze estive. Ebbe quindi modo di conoscere e partecipare al fervore artistico estivo della cittadina ligure: il suo primo riscontro con il pubblico avvenne, infatti, proprio qui con una collettiva nell'estate del 1957. Ogni estate Piero Manzoni aveva occasione di entrare in contatto con molti artisti fra i quali anche il danese Asger Jorn, molto amico anche di Scanavino, che conobbe nello stesso anno. Come lui stesso scrive in un articolo su "Il Pensiero nazionale" del 1959: "Una vecchia abitudine, che per tanti è ormai una tradizione, ha portato anche quest'estate, sulle orme dei futuristi, molti artisti di ogni parte del mondo ad Albisola". ("Il Pensiero nazionale", Roma, n.17, settembre 1959, pag. 40).
E' verosimile, perciò, che l'uso stesso del caolino - una particolare tipologia di argilla bianca imbevuta di colla e lasciata essiccare- materia legata alla lavorazione della ceramica, derivi dalla frequentazione dei ceramisti di questa città, come Tullio Mazzotti, e degli artisti che sperimentavano l'uso di questo materiale, come Baj, Crippa, Corneille, Dangelo, Fontana, Lam, Matta e appunto Emilio Scanavino, legato alle Ceramiche Mazzotti fin dal 1952.  Manzoni declinerà fino alla fine l'uso di tale materia, dapprima creando superfici suddivise in quadrati giustapposti, per poi approdare alla ben nota tela grinzata di cui l'opera qui presente ne è un magnifico esempio.
Anche per Emilio Scanavino l'uso del bianco è fondamentale, in questi anni di passaggio fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando l'artista infonde ai suoi dipinti un rinnovato approccio, più libero e sciolto nella composizione, dove l'epifania del bianco e dei grigi asseconda un'urgenza espressiva nuova e profonda. La cifra del colore bianco resterà un elemento portante nella pittura dell'artista, anche se con valenze diverse nel nuovo ordine compositivo che elabora a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta.
Altro punto di contatto fra i due artisti è la figura di Carlo Cardazzo, morto prematuramente anch'egli proprio nel 1963. Persona di larghe vedute e felici intuizioni, fu un catalizzatore non solo nel mondo artistico italiano, ma anche a livello internazionale, grazie ai suoi rapporti con Leo Castelli. Fondatore dapprima della Galleria del Cavallino di Venezia nel 1942 ed in seguito della Galleria del Naviglio a Milano nel 1946, fu anche editore, collezionista e mecenate. Manzoni ebbe modo di frequentarlo fra Albisola e Milano, mentre egli fu proprio il gallerista di Scanavino, il quale partecipò più volte al Premio Graziano da lui organizzato annualmente.
Milano e il quartiere bohémien di Brera sono, infine, il luogo dove Piero Manzoni ebbe sicuramente modo di incontrare più volte l'artista genovese, nell'ambito del circolo riunito attorno al bar Jamaica. Scanavino, infatti, veniva con regolarità a Milano a partire dal 1946 e qui si trasferì su invito di Cardazzo nel 1958.
L'opera qui presentata è quindi doppiamente importante, sia come testimonianza della poetica manzoniana del 'colore' bianco inteso come non-colore, ovvero di quello strumento percettivo attraverso il quale l'artista ha saputo aprire un "campo di illimitate possibilità di vita" creando, come lo definisce Denis Riout, un "quadro senza pittura", ma soprattutto, grazie alla sua storia e alla sua provenienza, come rara testimonianza di un clima culturale estremamente vivace, sfaccettato e ricco, nel quale artisti di tempra diversa eppure vicini per esperienze ed ambienti, si sono confrontati dando vita a un momento unico nella storia dell'arte italiana, scambiandosi e nutrendo idee in modi diversi ma ugualmente fertili.